
Ho sempre cercato di capire di più della vita, sin da ragazzo, specie di fronte a ciò che mi pareva stridente, insensato. Una prima precoce evidenza fu per me il fatto che mi pareva uno spreco vedere tante energie e conoscenze spese nella tecnica e nella creazione di dispositivi sempre più sofisticati, opere gigantesche, quando poi intorno, nell’ambiente e nella vita delle persone, era tutto un disastro. Ero ancora adolescente quando ebbi l’opportunità di visitare alcuni particolari impianti dell’Ilva, ex Italsider, al tempo la più grande industria siderurgica europea, a Taranto, dove anche mio padre lavorava. Ero con un gruppo di giovani della chiesa, e dopo la messa celebrata sugli impianti un operaio ci portò di straforo ad uno degli altiforni. Ricordo la colata della ghisa, il calore arrivava fortissimo….le mastodontiche strutture di metallo, la sottile polvere di ferro marrone che copriva ogni superficie, compresa la pelle degli operai ..... ..... ....
Apparteniamo non solo a ciò che abbiamo “sposato”, ma anche alle nostre fughe, a ciò da cui ci siamo allontanati. Il luogo dove ho vissuto fino ai vent’anni mi ha insegnato l’importanza del mettere in discussione modalità di vita, visioni del mondo, modelli di pensiero e di azione che non ci corrispondono.
Siamo felici di come viviamo le nostre giornate? Siamo contenti di come va il mondo? Quando siamo mossi da un moto di insoddisfazione, malessere, inquietudine, è perché in qualche modo percepiamo che qualcosa non ci appartiene, ci allontana da ciò che più profondamente ci fa felici. Così come l’indignazione per ciò che ci sembra ingiusto.
Quanto spazio diamo a quel senso di sana inquietudine e insoddisfazione che si agita dentro di noi, e che ci spinge – come Ulisse – a cercare nuove terre, nuove possibilità?
Da giovane soffrivo osservando il mio ambiente di vita.
Percepivo l’assurdità della violenza che veniva perpetuata sulla natura, simboleggiata dal mostro di ferro costantemente sovrastato da dense nubi grigie, che dispensava la città di una coltre uniforme di polvere color ruggine.
Percepivo, sin da adolescente, come il modello di mascolinità che mi veniva proposto, basato sula violenza, fosse grottesco e portatore di sofferenza. Era una intuizione, una percezione quasi sentita sulla pelle, più che un pensiero lucido.
Questi vissuti hanno acceso dentro di me alcune delle domande che hanno mosso tutta la mia vita:
Come contribuire a migliorare la società?
Come possiamo creare un modello migliore di mascolinità, non basato sulla violenza?
A volte, a partire da queste domande, sono riuscito a trovare delle risposte, e anche a dare un mio contributo. Ciò anche grazie a persone ed esperienze incontrate nel mio percorso.
Ecco alcune cose che ho imparato:
1- L’importanza di indignarsi; il “No”, gridato, o pronunciato dentro di noi, rivolto verso qualcosa che percepiamo come profondamente ingiusto, è il punto dipartenza. Nel caso di Taranto non era difficile, la situazione era estrema…. Ma a volte le forme di ingiustizia o di violenza possono essere più subdole.
2- Esistono sempre delle alternative ai sistemi iniqui; viviamo nell’epoca delle mille possibilità della tecnica; dedichiamo risorse enormi a cose discutibili; immaginate se le stesse risorse fossero destinate al bene comune!
3- L’importanza di decostruire i condizionamenti negativi, che ci spingono a considerare come “normali” visioni del mondo distruttive.
4- Esiste un alternativa ad un modello di mascolinità basato sula violenza, e molti uomini lo stanno già attuando.
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- 10 cose che ho imparato…
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