
Forse qualcuno ha passato la notte appoggiato a queste mura o seduto per terra. Sono arrivato all’alba, per trovarmi in fondo ad una lunga fila di gente diversa.
Sul quel marciapiede che corre lungo la Questura, si dipana una linea variopinta. Più scura è la pelle più allegri sono i colori degli abiti di chi spera.
Anche i dialoghi sono semplici e vivaci; la melodia che trascina le parole sembra la musica del mondo che accompagna l’illusione di chi va a caccia di un futuro migliore.
Alcuni, nonostante il bagaglio d’incertezze, sono felici perché hanno già raggiunto la libertà di mangiare e bere, altri quella di parlare, di ridere.
Mi ero accodato a loro, era la prima volta che chiedevo un visto di soggiorno. Quando, tanti anni prima ero partito, questo non l’avevo messo in conto e neanche quando erano iniziati i primi ripensamenti per un ritorno.
La mia condizione di extra comunitario, perché cittadino canadese, mi obbligava a quella trafila se volevo restare nel mio paese, nella città dove ero venuto al mondo e avevo vissuto fino a quando era diventata troppo piccola.
La decisione l’avevo presa su un tetto a terrazza di un grosso fabbricato in condominio di Saint Léonard, un quartiere a nord di Montréal.
Stavo accovacciato ed attaccato ad una strana costruzione dove passava la parte terminale delle condotte del riscaldamento e degli sfiati delle latrine dei numerosi appartamenti. Stando in quella posizione riuscivo a trovare riparo dal vento gelido e dallo sguardo indiscreto di chi poteva vedermi. Dovevo stare nascosto, perché quello che stavo facendo poteva segnare per sempre la mia vita.
Tutto ebbe inizio quando mi era venuta l’idea di affrontare il mercato nord americano distribuendo musica italiana e facendone la promozione, magari con la partecipazione degli artisti stessi.
Avevo impegnato tutto quel poco che possedevo in quella iniziativa, senza tenere conto dell’ambiente.
L’attività che facevo presso la stazione radio multietnica di Montréal, mi aveva permesso di conoscere tante persone ed entrare così nella realtà di quel Paese.
Spesso mi telefonava una signora che a quel tempo aveva il monopolio dello spettacolo a Montreal, specialmente sui concerti ai quali partecipavano gli artisti italiani.
Mi avevano avvisato:
“Fai molta attenzione a quella donna, anche se sembra innocua è il punto di riferimento della famiglia, in Canada e negli States”.
Pur sapendo che con la ndrangheta è vietato scherzare, mi sentivo in una botte di ferro; alla radio mi era capitato di favorire la signora, passando spesso le canzoni dei cantanti che lei faceva venire dall’Italia.
Una volta mi telefonò: “La prossima settimana, al Centro Paul Sauvé, faccio uno spettacolo con Gianni Morandi, mettete in onda le sue canzoni, voglio sentire quella dove scende la pioggia, quella della chitarra e quella che va in ginocchio dalla sua donna. Quella contro gli americani no! Non mi interessa sapere che un ragazzo come lui va in guerra e muore. Avete capito? Queste cose non piacciono a nessuno, statevene bbuono! Vi aspetto a casa mia, domani verso le quattro, dopo il pranzo”.
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